Contromano

Keep the faith

Copio dal Foglio di oggi.

Calcio e amore

Cristian Bucchi aveva perso tutto, ma poi ripartito con sua figlia Emy.
Fino alla vetta della serie B

Roma. Aveva perso tutto. Prima il calcio, poi l’amore. “Mollo”, aveva pensato per un attimo. Ora è il più forte. Adesso. Nella sua categoria. Era il due marzo del 2003. Cristian Bucchi giocava a Cagliari. La sua squadra, allenata da Giampiero Ventura, non passava un buon periodo. Sette sconfitte consecutive. Niente gioco, niente punti, niente vittorie. Un disastro. “Baratro della retrocessione”, si leggeva.


Occhi neri piccoli. Faccia chiara, barba più lunga lungo i contorni di un sottile pizzetto sempre curato. Quella domenica Cristian era impegnato a Marassi, Genova. La squadra che aveva di fronte era la Sampdoria. “Tu no, Cristian”, gli aveva detto Ventura quando qualche settimana prima aveva consigliato all’attaccante romano di prepararsi in maniera differenziata. Troppi infortuni. Troppi stop. Poche partite, forma scadente. Cristian stava tornando. In panchina perà², anche in quella partita. Ma lui c’era. E per lui, esserci, era già  tanto.
A diciotto anni nel 1995 Bucchi ci prova. “Non ero nessuno”. Tre campionati nei dilettanti. Prima nella Sambenedettese, poi due anni al Settempeda. Primo anno zero gol. Poi Cristian capisce che forse è il caso di fare qualcosa in più. Perchè zero gol in 23 partite per un attaccante non puಠandare. Nella altre due stagioni comincia a capire. “Una favola”.
Due campionati, 52 gol. Ha vent’anni Cristian. Sogna di arrivare in alto. Ha paura che sia già  troppo tardi. Vent’anni, 52 gol. Ma a quell’età  qualcuno aveva già  quasi vinto il pallone d’oro. Ma lui ci crede. Il Perugia lo vuole. La serie A lo chiama. “Pensavo fosse uno scherzo”. Dalla D alla A. Quattro categorie in un istante. La vita, la carriera, il futuro in un attimo. Arriva anche la nazionale. Quella Under 21. Quattro convocazioni, tre presenze. Un gol. Un anno in Umbria, poi Vicenza, nel 2000 di nuovo a Perugia.
Esordisce in serie A. Lui romano la prima volta all’Olimpico a Roma. Perugia-Lazio: 2-2. Segna anche lui. Cinque gol in tutto il campionato, dieci l’anno dopo. Poi di nuovo a Perugia.
Fino a quel 14 ottobre 2000. Nella sua Roma, nel suo Olimpico. Contro la Lazio. “Prego, venga pure”. Finisce la partita. Cristian è stato sorteggiato. Lui insieme al suo compagno Monaco. “Antidoping, grazie”. Sembrava una formalità , si è trasformato in un inferno. Sedici mesi di squalifica. Poi diventarono otto. Nel suo sangue e nelle sue urine c’era il nandrolone. Fu il primo calciatore in Italia ad essere squalificato per questa sostanza. Lui non aveva mai smesso di allenarsi. “Sono innocente”, diceva. Ritornà². Un anno a Terni, uno a Catania, poi Cagliari, Ascoli e Ancona. Fino al Modena, quest’anno. 19 partite e 16 reti. Il suo Modena è sesto, lui è primo. 16 gol, uno in meno di Luca Toni. In serie B, ma fa lo stesso.
Era in serie B anche quella volta. Tanta panchina. Ma a Marassi il Cagliari vinse. Dopo sette giornate. Cristian è euforico. A Cagliari è arrivato a gennaio. Lui assieme alla compagna Valentina e alla figlia di un anno appena. Finisce la partita. Chiama a casa. Lei non risponde. Qualche tentativo, poi l’aereo. Telefonino spento. Atterra, chiama. Nulla. Arriva a casa, a Cagliari, zona residenziale. Silenzio. Sente alcuni lamenti. Arriva in camera da letto. Valentina distesa per terra. La figlia ai suoi piedi in lacrime. Abbraccia il papà . Non smette di piangere. Lo stringe. Si aggrappa alla sua maglia. Valentina era morta. Sdraiata, lì. “Arresto cardiocircolatorio”. Valentina aveva ventiquattro anni. “I grandi amori vivono per sempre. Forza Cri”, avevano scritto sulla maglietta i suoi compagni la domenica successiva. Il capitano del Cagliari, Cammarata, lesse alcune parole, alcune frasi, allo stadio. Prima della partita. Applausi, silenzio.
Cristian ringrazià². Ma non si riprese.
In quella stagione giocಠsolo sei partite. Poi cambiಠarea. Lui e sua figlia Emily cominciarono a girare l’Italia. “Ci penso io a te”, disse a lei. Ora Modena. L’anno scorso ad Ascoli 43 partite e 17 gol. Cristian stava tornando. Sogna Roma. Sogna la serie A. 16 gol. Ora lo vogliono anche all’estero. Il Benfica chiede di lui. Cristian ricomincia a sognare e a segnare. Gioca con la vita. Con la sua Emily. “Non ho più paura”.
Ripensa a Valentina. Pensa a sua figlia. Gioca, segna, corre, dribbla, esulta. Per sè. Per la squadra.
Ma anche per Emy, per Valentina. “Non sono un dopato. Sono un calciatore”.
Aveva perso tutto. Aveva smesso di sognare. Ora è lì. Lassù, più più forte di tutti.

Claudio Cerasa

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